Nel 2022 le due principali città siciliane, Palermo e Catania, hanno fatto un passo in avanti nei propri processi di democrazia partecipata. A Palermo, dopo anni di nulla, è stato approvato il Regolamento.
A Catania, fino al 2021 i cittadini potevano solamente scegliere tra le proposte dell’amministrazione comunale. Il 2022, invece, è stato per la prima volta l’anno delle proposte civiche. 22 progetti ammessi alla fase del voto popolare hanno ricevuto un totale di 1876 voti. Ha vinto la proposta del Comitato Librino Attivo, “Un Polmone verde per la città, i Giardini verticali di Librino”.
Nonostante i passi in avanti, si deve fare meglio. In Sicilia ad oggi manca dappertutto un passaggio fondamentale, che renderebbe matura l’esperienza dell’applicazione della legge regionale sulla democrazia partecipata.
Lo dice bene Laura Saija, docente di Pianificazione Territoriale e Urbanistica all’Università di Catania:
“La competizione tra progetti di singoli proponenti non ha nulla a che vedere con la democrazia partecipata. Sono decenni che studiamo, sia in teoria che attraverso test ‘pratici’, la ‘democrazia partecipata’. Molto c’è da sapere, ma molto abbiamo imparato. Abbiamo imparato, per esempio, che le pratiche ‘partecipative’ hanno senso solo se intese in senso relazionale, ossia per il ‘miglioramento’ del rapporto istituzioni-abitanti: se fatte bene, da un lato aiutano gli amministratori a cogliere le priorità degli abitanti mentre, dall’altro, aiutano gli abitanti a diventare parte di una collettività, ossia a mettere le proprie esigenze e desideri a sistema con quelli degli altri, superando conflitti e diffidenze, imparando a fare rete, ossia esser parte di una ‘società civile’ dove diritti e doveri sono intrecciati a capacità di convivenza con l’altro. Inutile dire che il meccanismo della competizione on-line tra progetti autoprodotti da singoli attori non ha nulla di processuale e relazionale. Gli amministratori non hanno ascoltato le istanze da cui vengono i progetti, e non entrano nel merito della loro ragion d’essere. I singoli proponenti sono chiamati a fare una gara con i propri simili, entrando in conflitto con chi, invece, potrebbe aiutarli a sognare sogni più ambiziosi. Anche a questo giro, una grande occasione perduta. Speriamo che il Comune si decida presto a fare sul serio, mettendo in atto un lavoro serio di facilitazione di reti civiche, in ogni quartiere, capaci di offrire le occasioni di apprendimento – sia sociale che istituzionale – di cui la nostra città ha bisogno”.
La qualità di un bilancio partecipativo sta dunque nel suo iter processuale, e questo è tanto più vero nei comuni di grandi dimensioni, dove le cifre a disposizione sono maggiori e la complessità dei problemi più elevata. Il nodo più spinoso da affrontare per un processo di qualità va oltre le esigenze di pubblicità, trasparenza e pervasività della comunicazione e delle corrette procedure di voto. Il fulcro di un buon processo avviene tra l’avvio e la presentazione delle proposte. È qui che bisogna inserire elementi di animazione territoriale che tentino la via del dialogo orizzontale tra i cittadini e quello verticale tra i cittadini e il comune, aprendo spazi di co-progettazione su entrambi i piani.
In seguito all’approvazione del Regolamento a Palermo, un gruppo di cittadini ed esperti di partecipazione ben consapevoli del problema ha avviato un dibattito pubblico. Fra questi, Rosa Guagliardo e Michelangelo Pavia constatano come il nuovo strumento regolativo palermitano sia “un piccolo embrione del bilancio partecipativo e altri Istituti dovranno mettersi in atto per parlare di reale potere delle Circoscrizioni e reale partecipazione dei cittadini e delle cittadine alla cosa pubblica, anche a partire dai 16 anni… Il Regolamento, sebbene possa sortire delle iniziative interessanti… sia burocraticamente corretto e abbia ricevuto la validazione dell’Amministrazione, è povero perché riduce la partecipazione ad un like facilmente orientabile da chi può esercitare una ampia pressione sui votanti… Ci chiediamo anche come sia possibile che in questa città si educhino studenti e studentesse a facilitare processi e progettazione partecipata in Dipartimenti Universitari come quelli di Pianificazione, Architettura, Sociologia o ancora con l’attivazione di corsi di facilitazione organizzati tramite l’ufficio del Garante dell’Infanzia e l’Adolescenza, per poi negare l’utilizzazione di questa figura dal punto di vista istituzionale”.
Anche a “Spendiamoli Insieme” siamo convinti che servano incontri pubblici in cui – con l’aiuto di una buona facilitatazione – cittadini, associazioni, studenti – ma anche personale amministrativo comunale, consiglieri e assessori – si parlino e capiscano insieme quali sono le priorità da affrontare, come si possa fare rete per rendere significativi gli interventi e come dimensionarli sulle somme a disposizione. Serve insomma la componente deliberativa prima del voto, che è un classico meccanismo rappresentativo.
È vero, processi del genere a Palermo, a Catania, nelle città medio-grandi sono complessi oltre che necessari. La transizione ad un modello simile costa fatica “culturale”. Ci vogliono vera volontà politica, risorse e soprattutto cura. La sciatteria non è consentita. Ma non dovrebbero le città siciliane con maggiore capacità amministrativa, dopo le “amnesie” iniziali, aspirare ad aprire la strada?
Pensiamo poi ai tanti Comuni medio-piccoli della Sicilia, in cui questi processi – per fatti puramente numerici – possono essere più agili e più facilmente efficaci, infinitamente meno costosi del valore che possono generare. Possono questi diventare esempio per le città più grandi?
Per parte nostra tenteremo di partecipare alla riflessione sulle assemblee pubbliche e sulla co-progettazione e di proporne e sperimentarne l’utilizzo con le amministrazioni più virtuose. A questa legge serve un modello di applicazione, che ad oggi manca e che indichi la via anche per il progressivo miglioramento dell’implementazione.
SI
Palermo, foto di Xerones – Flickr, via Wikimedia Commons